giovedì 21 maggio 2009

Tangentopoli arriva anche a Londra. Ma per fortuna c’è la Regina…

martedì 19 maggio 2009 - di Mauro Bottarelli

Con le debite proporzioni, lo scandalo per i rimborsi gonfiati - e in molti caso inventati - dei politici britannici rappresenta la versione d'Oltremanica di Tangentopoli. Se possibile, in peggio.

Per leggere al meglio la portata della crisi e prendere debitamente la temperatura al polso dell'uomo della strada, infatti, bisogna rifarsi alla rigida morale cromwelliana del Parlamento inglese: nessuno qui ha comprato voti in cambio di soldi o favori, non c'è un sistema malato di finanziamento illecito, non ci sono figli e figliastri ma c'è qualcosa di umanamente più misero: ovvero, politici che guadagnano oltre 65mila sterline l'anno che chiedono il rimborso non tanto e non solo per i lavori di ristrutturazione della seconda casa, ma per un pacchetto di cioccolatini da 65 pence.

È questo che fa indignare la gente, che monta la voglia di vendetta attraverso l'astensionismo - già cronico Oltremanica - alle prossime elezioni europee e amministrative del 4 giugno, che fa bollire le platee dei talk show politici, che - come accade a Scunthorpe - vede i cittadini passare in macchina di fronte all'elegante cottage del deputato laburista eletto in quel collegio e fare a gara per chi riesce a gridare il maggior numero di improperi.

I numeri dell'ultimo sondaggio pubblicato in Gran Bretagna non lasciano scampo: per il 64% degli interpellati i politici hanno meno integrità dopo questo scandalo e sempre per il 64% coloro i quali sono stati colti con le mani nel sacco non devono essere candidati ma bensì banditi dalla vita pubblica. I Conservatori hanno perso 6 punti percentuali, il Labour 4 mentre i LibDem ne hanno guadagnato 1: più 9 punti percentuali invece per i partiti minori, con l'Ukip al 6% e il British National Party al 4%.

La Regina stessa, nel suo incontro settimanale con Gordon Brown, si è detta tremendamente preoccupata per quanto sta accadendo e ha chiesto al primo ministro di agire con la massima severità e rapidità. E proprio la presenza della monarchia, in questo momento, rappresenta il discrimine tra la Tangentopoli mai chiusa dell'Italia e quella un po' provinciale che sta squassando il panorama politico britannico.

Secondo il padre nobile dell'Economist, Walter Bagehot, l'elemento specifico del sistema di governo, o, più precisamente, della Costituzione inglese, è proprio l'esistenza di dignified parts, di parti nobili, e di efficient parts, efficaci o, meglio, operative. Le parti nobili della Costituzione - la monarchia e la Camera dei Lords - servono prevalentemente a guadagnare la deferenza del popolo, mentre le parti operative - il gabinetto e la Camera dei Comuni - svolgono realmente il lavoro di governo.

L'equilibrio del sistema politico inglese è assicurato, in altri termini, da una manipolazione dell'immaginario collettivo che riesce a garantire il consenso della società inglese verso la classe dirigente del paese. Questo lavoro di intercettazione del consenso della nazione è svolto in larga misura dalla monarchia. «Il ruolo della regina - scrive Bagehot ne “La costituzione inglese”-, dal punto di vista simbolico, è di importanza incalcolabile. Senza la sua presenza l'attuale sistema di governo inglese avrebbe vita difficile e finirebbe per crollare».

Mai come oggi queste parole, che sembrano scritte poche ore fa, sono vere. E questo silenzioso ruolo di reggenza e gestione si riverbera anche nell'atteggiamento responsabile, anzi civilmente alto e dignitoso, che sta tenendo in queste ora il Daily Telegraph, ovvero proprio il quotidiano che ha fatto esplodere lo scandalo guadagnando notorietà e rispetto per il proprio esempio di giornalismo investigativo. Nel commento principale dell'edizione di sabato, infatti, Charles Moore invitava a chiare lettere la gente a reclamare il proprio Parlamento e non a distruggerlo visto che «Westminster è nostro e chi ha l'onore di sederci lo fa su nostro mandato».

Insomma, non si getta il bambino con l'acqua sporca: la democrazia parlamentare britannica non è rappresentabile con quelle note spese infantilmente gonfiate ma con secoli di storia, di efficienza, di servizio del Paese. Per conto e su mandato del popolo. Oltre, ovviamente, che di Sua Maestà, il vero capo del governo, l'istituzione che conferisce al primo ministro il mandato per operare in suo nome. Ed Elisabetta II non può accettare che chi governa in suo nome faccia pagare ai contribuenti anche un busta di plastica dell'Ikea da 5 pence, come ha fatto un deputato scozzese.

Richiamando tutti al senso di responsabilità e al rispetto delle istituzione, Charles Moore citava l'altro giorno le parole di Edmund Burke nel descrivere la Rivoluzione francese: «La rabbia può abbattere in mezz'ora più di quanto si possa costruire in cent'anni di prudenza e buon senso». Per questo il ruolo della monarchia, in questi giorni turbolenti, è così importante.

Tanto che, lo dicono due sondaggi in mano al Labour e ai Tories ma tenuti debitamente sotto chiave, ora la Regina è l'unica istituzione in cui i britannici si riconoscono. Tanto che da più parti si comincia ad auspicare un governo di unità nazionale come quello che vide luce nel 1931 sotto Giorgio V durante la crisi della Grande Depressione e quella per la creazione del Libero Stato d'Irlanda a seguito della Partition. Insomma, gli inglesi si riconoscono quasi esclusivamente nella monarchia. Anzi, nella loro Regina così algida e severa ma anche capace come nessuno di capire quando il popolo ha bisogno di essere rincuorato e guidato.

Come appare lontano quel 1997 quando la morte improvvisa di Lady Diana sembrò cancellare oltre a un sogno popolare anche l'affetto della gente per questa antica ma quanto mai moderna e fondamentale istituzione. Grazie alla quale, la democrazia britannica uscirà più sana di prima dalla sua Tangentopoli. Scriveva sempre Walter Bagehot: «In un regime di democrazia parlamentare come il nostro il sovrano ha tre diritti: quello di essere consultato, quello di incoraggiare e quello di mettere in guardia. E nessun sovrano con buonsenso ne vorrebbe altri». Elisabetta II lo sa e si limita ad esercitare questi tre, offrendo al suo paese il più alto esempio possibile di dedizione e servizio.

(Il Sussidiario.net)

giovedì 14 maggio 2009

Credibilità delle Istituzioni

La credibilità delle istituzioni di un Paese civile passa attraverso una serie di grandi e piccoli fattori, che nella loro globalità forniscono al cittadino la “sensazione” positiva o negativa in questione.
Questi fattori, possono essere “misurati” in modo pratico dai cittadini stessi, facendo la differenza tra quanto pubblicizzato o promesso e quanto è realmente riscontrabile nella vita di ogni giorno.
Sanità, sicurezza, burocrazia, istruzione, diritti, e perché no anche doveri.
Guardando proprio al binomio diritti e doveri di ognuno di noi, mi sento di affermare secondo mio modesto parere, che le nostre ormai “famose” istituzioni repubblicane, zoppicano assai!
Se è vero che esse devono fare in modo che tutti i cittadini siano informati delle imminenti elezioni per il rinnovo dei nostri rappresentanti al Parlamento Europeo, è vero anche, che non dovrebbero farlo nel modo utilizzato in questi giorni.
Gli spot televisivi che ripetutamente vanno in onda infatti, tendono a colpevolizzare il cittadino eventualmente non intenzionato al voto. Lo spot, recita in modo esplicito, che questo appuntamento è un diritto-dovere. Personalmente ritengo che sia una forzatura ignobile e vergognosa!
Io non ho certamente la preparazione giuridica sufficiente per stabilire la veridicità o meno di tale affermazione, però ho la memoria buona (ancora) per ricordarmi e ricordare agli smemorati che furono le stesse Istituzioni nel 2005, nelle figure del Presidente del Senato Marcello Pera e del Presidente della Camera Pierferdinando Casini (rispettivamente la seconda e la terza carica dello Stato di allora) a indicare nell’astensionismo una delle possibili scelte dell’elettore. Non ricordo in quell’occasione (voto referendario per l’abrogazione della Legge sulla fecondazione assistita) di aver sentito parlare o di leggere di “diritto-dovere”…o sbaglio ?
Tornando ad oggi quindi, i doveri dei cittadini e i loro diritti, sono per questa repubblica valori a geometria variabile, che si estendono o si ritraggono a secondo degli interessi contingenti della politica o sono tali sempre ?

Sarebbe opportuno chiarire questa discordanza.

Non crediamo che il grado di credibilità complessiva dell’attuale repubblica avrebbe a migliorare di molto, …sarebbe semplicemente una questione di buon gusto!
Grazie.

giovedì 7 maggio 2009

Ma quale egemonia Lombarda ?

Leggendo l'articolo di Ernesto Galli della Loggia, pubblicato ieri 06.05.2009 sul Corriere della Sera, risulta evidente il criterio di addossare al Risorgimento le colpe dell’attuale situazione di “disordine” civile, morale e culturale presente in tutta Italia e quindi anche in Lombardia.
Esso risponde alla necessità di allontanare la riflessione dalle cause vere da ricercarsi nell’evoluzione avuta dal dopoguerra dalla nostra società. E’ chiaramente un criterio che risponde alla collaudata esperienza repubblicana di addossare preventivamente ad altri le proprie colpe prima di aprire un dialogo, soprattutto quando a questi risulta impedita la difesa.
In questo specifico caso, si utilizza un capitolo della gloriosa Storia del nostro Paese a proprio uso e consumo. Se è vero infatti che noi oggi, siamo il risultato di una storia passata, è anche vero che non possiamo riscrivere solo la parte di Storia idonea a giustificare il risultato che ci siamo posti, fingendo nel contempo di dimenticare la parte di Storia “scomoda”.
Questa però, è l’operazione tentata dal Sig. Galli della Loggia con quest’articolo.
Tentativo tanto meschino quanto riuscito in un Paese - l’Italia repubblicana - che grazie ad istituzioni “complici e interessate” attecchisce su rilevanti fasce della popolazione ormai minata nella sua identità ed unità da decenni di bugie e falsità vergognose !

Noi non possiamo negare l’importanza delle Cinque Giornate di Milano nella globalità del fenomeno Risorgimento, ma mentiamo a noi stessi se affermassimo che questi moti popolari – diversamente gestiti da come lo furono - avrebbero potuto condurre ad una Storia diversa e più vantaggiosa per la stessa Milano.
Quando Carlo Cattaneo scrive «L’esercito e il paese non furono più nostri; le sostanze nostre, la vita e l’onore furono in arbitrio altrui» lo fa chiaramente dettato dalla sua personale avversione verso Casa Savoia. Sono le sue stesse parole infatti che lo screditano : quando mai Milano in quegli anni poteva contare su un esercito, finanze ed istituzioni sue ? L’arbitrio del suo onore, non risiedeva forse a Vienna ?

Utopica quindi questa presunzione di una Milano che potesse avere una egemonia in quella fase storica, perché nessuno ai fini pratici l’ebbe davvero, e non avrebbe potuto andare diversamente, visti i rapporti di forza in campo !

Risulta palese quindi che i “Moderati” presero in quell’occasione la più pragmatica delle decisioni, rimettendosi nelle mani dell’Unico Stato Indipendente d’Italia in grado di portare avanti la lotta contro lo straniero aldilà delle sconfitte in un disegno fattibile di continuità al fine di raggiungere l’agognata indipendenza.

Dovrebbe anche essere chiaro a chiunque che i numerosissimi tentativi di questi sedicenti “Democratici popolari” – Mazziniani – furono una lunghissima serie di moti, sommosse, battaglie cittadine e rivoluzioni, tutte fallite nel sangue e nell’umiliazione a Milano come in ogni altra parte d’Italia prima e dopo il 1848, Non vi fu mai insomma la seria possibilità di raggiungere un risultato duraturo autonomo, fino a quando le Armi e la Diplomazia Sabauda non presero le redini della situazione.
Ciò non è solo confermato dalle stesse parole ed azioni di importanti rappresentati di questa categoria dirigenziale, ma addirittura invocato. Fu lo stesso Felice Orsini dopo anni di fallimenti come seguace di questa chimera a dichiarare in una lettera al Conte di Cavour nel 1857 “…convinto per triste esperienza che senza grandi mezzi non si può cacciare dall’Italia un nemico potentemente organizzato, convinto che i parziali e meschini movimenti valgono soltanto a smembrarci, io sono pronto a dar mano a quel governo italiano il quale metta a disposizione della nazionale indipendenza i suoi mezzi e la sua armata…”

Il ruolo nel Risorgimento di Milano quindi, non deve essere considerato secondario per colpa di scelte sbagliate, ma deve essere considerato valido entro l’equilibrio che si poté raggiungere tra le varie forze disponibili, che in modo del tutto naturale valutarono nel Piemonte Sabaudo la guida più sicura per un cammino certamente rischioso che richiedeva oltre all’entusiasmo ed alla buona volontà, una salda organizzazione.
L’ipotesi di trattare un diverso coinvolgimento di Milano nel processo di Unificazione nazionale, ha quindi il valore di una pura esercitazione postuma, perché di fatto la classe dirigente, le forze armate, l’economia, e le istituzioni libere di Milano nel 1848 non esistevano. Diversa invece la situazione in altre regioni, come la citata presenza attiva Toscana e anche Napoletana.

Devo inoltre registrare le contraddizioni contenute nelle parole finali dell’Articolo.
In esse si asserisce che Milano e la Lombardia non hanno avuto una parte corrispondente al loro rilievo, essendo la regione e la città più importante d’Italia.
Mi sento di affermare che ciò, è un tantino azzardato. Senza scendere in analisi socio economiche particolareggiate, ricordiamo soltanto che Milano e la Lombardia erano a quel tempo uno dei pochi territori NON liberi anche a livello amministrativo dell’intera penisola. Questo, voleva forse dire qualcosa… No ?

Concludendo, l’attuale situazione di sfascio, non può essere attribuita alle cattive scelte del Risorgimento, perché riteniamo che il tempo e le occasioni avute dal dopoguerra ad oggi avrebbero in questi anni potuto ribaltare una situazione negativa. Piuttosto va invece ricercata nella connivenza della nuova classe dirigente formatasi in questi anni, che al contrario dei Moderati di allora, ha tratto da queste istituzioni repubblicane il massimo profitto possibile “scaricando” nel contempo al suo destino Milano ed il suo territorio !