Da Bossi a Di Pietro
di Gino Di Tizio
18 settembre 2011
Peppino Tagliente, consigliere regionale e personaggio politico di primo piano in Abruzzo, ha scritto su Facebook: “Ho appreso oggi che il figlio di Di Pietro (noto anche per essere incappato in una vicenda mai chiarita del tutto) si candiderà alle elezioni regionali del Molise nel partito di suo padre.
Lo stesso che aveva avuto da ridire sulla candidatura del figlio di Bossi, il famoso Trota.
Se penso che i nostri ex sovrani dicevano che “in casa Savoia si regna uno alla volta”, mi vien voglia di diventare monarchico”.
Facile leggere questo “pensiero” che Tagliente ha affidato al popolo di Facebook come una provocazione, ma crediamo che l’argomento posto sia invece degno di aprire una ampia riflessione che finisce con l’investire l’attuale stato della nostra politica e il livello della nostra vita democratica.
Che in questo paese i rapporti familiari siano in primissimo piano in ogni occasione è fatto notorio.
Non fu Leo Longanesi a suggerire come motto dell’italica gente “ho famiglia”? D’altra parte capita quasi sempre che il figlio del medico faccia il medico, quello del notaio faccia il notaio e via dicendo, per arrivare anche ai giornalisti.
Diverso però è quanto questa successione arriva per strade non dritte, sotto la spinta di abusi e prevaricazioni dei diritti e dei meriti degli altri.
Vedi ad esempio le cattedre universitarie che passano da padre in figlio, o coinvolgono parenti e affini, quando non si tratta di amanti.
Non diciamo niente di nuovo portando questi argomenti.
Ma in politica?
In politica, almeno nella nostra democrazia, quando non si tratta di nomine, ma di elezioni vere, le cose sono un po’ diverse.
Certo c’è qualche problema etico nel capo di un partito che piazza in prima fila in una competizione elettorale il proprio rampollo, ma alla fine la decisione la devono prendere gli elettori, se si tratta di elezioni dove esiste il voto di preferenza. Imperdonabile quando figli, mogli e parenti vengono messi nelle liste bloccate per accedere in Parlamento.
In quelle occasioni i partiti giocano sporco e sono certamente censurabili quando propongo scelte per qualche motivo indecenti.
Se il figlio di Bossi ha ricevuto tanti consensi che l’hanno fatto eleggere, o se molti ne riceverà a suo tempo il figlio di Di Pietro, se scandalo si vuole fare bisogna tirare in ballo i cittadini elettori per l’uso che fanno del proprio voto.
Ciò che non è tollerabile, e qui la provocazione di Peppino Tagliente fa centro, è certe posizioni moralistiche che vengono assunte in queste circostanze dei protagonisti dell’andazzo politico.
Se si è criticato Renzo Bossi, come si può ora battere le mani a Cristiano Di Pietro?
Ultima considerazione: essere figlio di non è un peccato, lo diventa se poi resta quell’unico “merito” a sostenere il castello che si forma. L’Italia è piena, anche in Parlamento, di figli di, di moglie di, di padre di, che vivono di luce, se di luce si può parlare, riflessa, senza aver mostrato mai la capacità di portare qualcosa di valido alla causa, che è quella di gestire un paese difficile come il nostro. Questa situazione andrebbe cambiata, per evitare che la gente possa rimpiangere, come ha fatto Tagliente, la monarchia e per ridare un po’ di significato alla parola “meritocrazia”.