martedì 21 luglio 2009

Non l'avevamo detto ?

Corriere della Sera - Pag. 16
20 Luglio 2009
Noi italiani senza memoria
di : Ernesto Galli Della Loggia

Il modo in cui il Paese si appresta a celebrare nel 2011 il 150˚anniversario della sua Unità indica alla perfezione quale sia l'immagine che la classe politica—tutta, di destra e di sinistra, senza eccezioni (nonché, temo, anche la maggioranza dell'opinione pubblica) — ha ormai dell'Italia in quanto Stato nazionale e della sua storia. Un'immagine a brandelli e di fatto inesistente: dal momento che ormai inesistente sembra essere qualsiasi idea dell'Italia stessa. Leggere per credere. Tutto inizia nel 2007, quando per l'appunto si deve decidere che cosa fare per le celebrazioni del 2011. In altri Paesi si penserebbe, per esempio, ad allestire una mostra memorabile, a mettere in piedi un grande museo della storia nazionale (siamo tra i pochi che non ne hanno uno), a costruire una grande biblioteca (Dio sa se ce ne sarebbe bisogno) o qualcos’altro di simile. Da noi invece no.

Da noi il governo Prodi decide che il modo migliore di celebrare l'Unità d'Italia sia quello che lo Stato finanzi, insieme agli enti locali, undici opere pubbliche in altrettante città della Penisola. Opere pubbliche di ogni tipo, così come viene, senza alcun nesso con il tema dell'unità: da un nuovo Palazzo del Cinema e dei Congressi al Lido di Venezia, al completamento dell’aeroporto a Perugia, dalla realizzazione di un Parco costiero del Ponente ligure ad Imperia, a un Auditorium con relativa delocalizzazione del campo di calcio a Isernia, a un Parco della Musica e della Cultura a Firenze, e così via nel mare magnum dei bisogni effettivi o magari della megalomania dei mille luoghi del Bel Paese. Solo Torino e il Piemonte, non dimentichi della loro storia, mettono a punto in modo autonomo un programma di celebrazioni inerenti realmente all'evento storico di cui si tratta.

Ma, ripeto, in modo autonomo e come iniziativa locale, anche se con lodevole e forte apertura alla storia nazionale. Così come solo il Ministero dell'Istruzione trova il modo di celebrare l'anniversario varando un progetto di portale didattico on line sul Risorgimento. Dopo pochi mesi, comunque, nel febbraio del 2008, al «programma infrastrutturale » iniziale degli undici progetti ora detti il governo Prodi aggiunge altri quattordici «interventi infrastrutturali di completamento». Di nuovo c'è di tutto: restauri di questo o quell'edificio (il teatro D’Annunzio a Pescara, Palazzo D'Accursio a Bologna, la Rocca della cittadella ad Ancona), ma anche numerose incursioni nel bizzarro spinto: per esempio la realizzazione di un Herbariun Mediterraneum, di cui pare che senta un vivissimo bisogno la città di Palermo, o la realizzazione di un Centro Culturale della Mitteleuropa per la maggiore soddisfazione degli abitanti di Udine. E' inclusa perfino la costruzione della nuova sede dell'Istat a Roma.

Ma messe così le cose, pure ai ministri di Prodi esse devono essere sembrate un po' troppo grigie e anonime. Alla retorica nazionale non si poteva negare qualche lustrino, qualche «nome» da esibire. Detto fatto, ecco allora istituito un pomposo Comitato dei Garanti. Cioè tre-quattro decine di persone, presunte incarnazioni di altrettante «personalità», alla cui presidenza viene chiamato il Presidente emerito Ciampi. Ma alle quali, naturalmente nessuno, in tutto questo tempo, si cura di indicare con un minimo di precisione che cosa mai debbano «monitorare» e «verificare», in sostanza che cosa diavolo ci stiano a fare, a che cosa servano. Sono «garanti», tant'è: non gli basta un simile onore? E infatti non risulta che riescano a dire una parola su nulla. Tuttavia, per quanto sembri incredibile, non siamo ancora alla fine. Ulteriori proposte di «interventi infrastrutturali» incalzano, infatti, e anche questi progetti ottengono il loro bravo cofinanziamento statale: sempre in nome, naturalmente, del 150˚anniversario dell'Unità. Questa volta però nelle funzioni di «grande elemosiniere» invece del governo Prodi c'è il governo Berlusconi.

Ecco dunque il Comune di Roma che con 40 milioni promette di sistemare a nuovo il Palazzo degli esami di via Induno; Latina, che riceve 3 milioni di euro per la riconversione dell'ex Caserma dell’82˚fanteria da adibire a campus universitario; il comune di Moasca (Asti), che si accontenta di 500 mila per il completamento del restauro del suo castello; Catania, che con 150 mila euro vuole rendere accessibile l'Orto botanico ai «non vedenti e ipovedenti»; Magenta, che si prende i suoi 22 milioncini per collegare con piste ciclabili «le vie della battaglia di Magenta», e così via molti altri. Ma oltre a fare anche lui, sebbene in tono minore data la crisi economica, la sua distribuzione di soldi in tutto e per tutto analoga a quella realizzata dal governo di sinistra, il governo di destra compie un altro atto memorabile. Ai membri del Comitato dei Garanti designati dal suo predecessore ne aggiunge altri sette-otto: ma anche questi— essendo uno dei prescelti posso dirlo con cognizione di causa — finora non riescono a servire a nulla (anche se almeno non costano nulla).

E di sicuro le cose continueranno così anche se oltre tre mesi fa il presidente Ciampi ha scritto al ministro Bondi per sollecitarlo a elaborare finalmente un «programma di iniziative da attuare per la ricorrenza». Ma con quanto tempo a disposizione oramai? E con quali finanziamenti, dal momento che ne sono già stati impiegati tanti per tutte le cose fin qui dette? La conclusione, al momento attuale, è che per ricordare la propria nascita lo Stato italiano nel 2011 non farà nulla: nulla di pensato appositamente, voglio dire, con un rapporto diretto rispetto all'evento. Si limiterà a qualche discorso . Il punto drammatico sta nella premessa di tutto ciò. Nel fatto evidente che la classe politica sia di destra sia di sinistra, messa di fronte a uno snodo decisivo della storia d'Italia e della sua identità, messa di fronte alla necessità di immaginare un modo per ricordarne il senso e il valore — e dunque dovendosi fare un'idea dell'uno e dell'altro, nonché di assumersi la responsabilità di proporre tale idea al mondo, e quindi ancora di riconoscersi in essa — non sa letteralmente che cosa dire, che partito prendere, che idea pensare.
E non sa farlo, per una ragione altrettanto evidente: perché in realtà essa per prima non sa che cosa significhi, che cosa possa significare, oggi l'Italia, e l'essere italiani. Quella classe politica fa di conseguenza la sola cosa che sa fare e che la società italiana in fondo le chiede: distribuire dei soldi. A pioggia, senza alcun criterio ideale o pratico, in modo da soddisfare le esigenze effettive, i sogni, le ubbie, dei mille localismi, dei mille luoghi e interessi particolari in cui ormai sempre più consiste il Paese. Cioè consistiamo noi. «A te un campus, a te una circonvallazione, a te un palazzo per qualche cosa»: l'unico scopo che ci tiene insieme sembra essere oramai quello di spartirci il bilancio dello Stato, di dividerci una spoglia. M’immagino come se la deve ridere tra sé e sé il vecchio principe di Metternich, osservando lo spettacolo: non l'aveva sempre detto, lui, che l'Italia non è altro che un'espressione geografica?


Nota della Redazione
Il Sig. Galli della loggia, da buon Anti-Italiano qual'è, cade nel luogo comune del dar ragione al Metternich. Egli infatti non può non sapere che questo "detto" è un falso storico, smascherato da anni proprio dal Corriere della Sera del 1 giugno 1999 (pag.35) con un articolo di Fertilio Dario ! Vedi Archivio Storico al riguardo...

Coglie comunque nel segno il Della Loggia, e Noi del Coordinamento di Biella ci sentiamo più motivati ancora nel portare avanti la nostra piccola iniziativa locale definita Simposio, "IMPORTANZA DELLA STORIA" promossa in favore della Verità e della Nostra Patria.

giovedì 16 luglio 2009

Repressioni repubblicane

Ancora minacce ai cristiani in Nepal

Da Radio Vaticana apprendiamo, ciò che la “buona” informazione di questa repubblica ci nega.
Sapere cioè, che le repubbliche di fatto non sono solo contrarie alle Monarchia ed al popolo, ma anche alle religioni… che Mazzini fosse il Profeta di una nuova setta (satanica) invece che un mediocre ed illuso politico ?

Leggiamo dal sito Ufficiale :

Il gruppo estremista indù Nepal Defence Army (Nda) ha lanciato un nuovo messaggio di minaccia alla comunità cristiana in Nepal. Il gruppo estremista, che aveva già rivendicato l'attentato alla cattedrale dell'Assunzione a Kathmandu, avvenuto a maggio, ha chiesto ai sacerdoti e alle suore non nepalesi che operano nel Paese di lasciare il territorio entro un mese. Lo rende noto il vicario apostolico del Nepal, il vescovo di Gigti, Anthony Francis Sharma, il quale ha specificato che l'intimidazione è stata dettata telefonicamente al vicario delegato, il reverendo Pius Perumana. La polizia ha prontamente messo a disposizione alcuni agenti per proteggere il centro pastorale a Godavari, dove lavora il reverendo. Anche i protestanti hanno ricevuto intimidazioni. Secondo un pastore una lettera minatoria è stata indirizzata alla Chiesa protestante a Kathmandu, con l'eguale richiesta ai cristiani di abbandonare il Nepal. I leader protestanti hanno dunque deciso di formare un comitato per verificare le minacce e intraprendere misure di protezione. Il Nepal Defence Army, si legge su L’Osservatore Romano, è un gruppo estremista che lotta per la trasformazione del Nepal in una nazione teocratica. In particolare, i cristiani e i musulmani sono accusati "di inquinare il Paese". Dopo secoli di monarchia (...e di pace e tolleranza religiosa aggiungiamo noi), alla fine del 2007, il Parlamento nepalese ha approvato un emendamento alla Costituzione che ha segnato la transizione dalla monarchia alla repubblica. Inoltre c'è stata l'eliminazione dell'induismo come religione ufficiale, aprendo così la società alla libertà religiosa. Questa repentina trasformazione ha creato malcontento in alcuni gruppi indù. Nel luglio del 2008 è stato ucciso anche un salesiano, John Prakash, preside della Don Bosco School di Sirsiya. Il vicario delegato Perumana ha affermato che "i cristiani non nascondono la loro preoccupazione per le minacce e intimidazioni subite, ma restano fiduciosi nella volontà e nella capacità della nazione di sconfiggere i gruppi fondamentalisti". "Siamo in allerta - ha aggiunto - ma le nostre attività e la nostra missione vanno avanti. Abbiamo fiducia nella popolazione e nelle autorità. Siamo una minoranza corposa e stimata e gli attacchi non scalfiranno la nostra speranza". (V.V.)

http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=302439

martedì 14 luglio 2009

Simposio culturale !!!


Simposio culturale

di accompagnamento alla commemorazione del
150° Anniversario dell’Unità d’Italia


Dopo le molteplici denuncie nei confronti delle attuali istituzioni repubblicane, ree di far di tutto per far passare inosservate le celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, e dopo aver assistito a numerose prese di posizione di associazioni e personalità Monarchiche sullo stesso tema, ci siamo decisi ad intervenire.
Chiaramente le forze a disposizione a livello locale sono esigue, ma riteniamo di poter offrire comunque un esempio di patriottica ed inoppugnabile cultura da contrapporre alla regola dello sfascio e del contro risorgimento oggi imperante per la comodità di certa parte politica secessionista.

Con la promozione di questo Simposio, intitolato :

”IMPORTANZA DELLA STORIA, uso politico della storia e rischi per il cittadino”

si vuole argomentare - sullo sfondo del 150° anniversario dell’Unità d’Italia del 2011 - il valore della storia nazionale ed il suo ruolo culturale, morale e pratico.

In breve e con l’aiuto di documenti esterni, (lettere, articoli, brani di libri ecc. ) si accompagneranno i partecipanti in un percorso guidato verso la riscoperta di una storia comune e di una coscienza nazionale che un tempo ci accompagnava, attraverso questi argomenti :

1) Importanza della Storia - in generale

2) Uso politico della Storia - oggi soprattutto

3) Rischi per i cittadini quando la storia viene ignorata o mistificata




Nello specifico, l’incontro si articolerà sulle seguenti linee guida :





Presentazioni dell’Unione Monarchica Italiana

Il valore della Storia e delle Tradizioni ITALIANE
(la storia e le tradizioni locali, non possono essere considerate sostitutive a quelle italiane)

Importanza della Storia
(considerazioni odierne e conseguenze nella società italiana)
- linee di pensiero anti-italiane
- le intenzioni di partenza del Risorgimento

Celebrazioni per i 150 anni dell’Unità - Programma Eventi
(lo sforzo istituzionale per far passare l’Evento inosservato)

La politica della nuova classe dirigente
(lo status quo, di una classe dirigente esente da confronti, ed rischi per i cittadini)

L’antidoto ai rischi : la Monarchia ed il pensiero monarchico.
(utopia o necessità ?)





Il Simposio si concluderà con la possibilità del pubblico di intervenire, in dialogo con il relatore, che potrà approfondire gli argomenti richiesti o rispondere ai quesiti proposti sull’argomento.

L’ampia documentazione di supporto raccolta e un documento particolareggiato di esposizione del relatore (Bozza), sono disponibili ai Club Reali dell’UMI, a tutte le Associazioni Monarchiche, così come alle singole persone interessate che volessero rilanciare l’iniziativa sul loro territorio.
E’ sufficiente fare richiesta ad Coordinatore Alberto Conterio all’indirizzo mail
aconteri@hotmail.com. Non si effettuano spedizioni postali.

L’iniziativa (a carattere locale), che prevede la richiesta del necessario spazio (un locale adatto al pubblico ed una serata riservata all’argomento) indirizzata (per ora) unicamente ad Associazioni d’arma e combattentistiche, Circoli culturali e piccoli Comuni della provincia, ha ricevuto per ora alcune importanti risposte interessate che ci fanno ben sperare sul risultato dell’iniziativa

lunedì 13 luglio 2009

repubbliche monarchiche, ...la nuova frontiera del popolo bue !

Leggiamo e pubblichiamo La lettera del giorno

Lunedì 13 Luglio 2009 : G8, DOVE I GRANDI SONO RE
In questi giorni si sono potuteammirare le «first ladies» a colazione al Quirinale, a pranzo in bellissimi hotel della capitale oppure mentre visitavano le rovine nelle zone terremotate con al seguito sempre un poderoso servizio di scorta, di forze dell’ordine, di autorità, di giornalisti e tanti altri ancora. Chi e che cosa rappresentano? Sono indispensabili queste sfilate di borse di pitone, scarpe di coccodrillo e abiti eleganti? Rimango molto perplesso di tutto ciò.
Marco Piselli

Risponde Sergio Romano

Caro Piselli, La sua perplessità è giustificata.Queste consuetudini sono relativamente recenti e vanno di pari passo con la personalizzazione della vita politica e delle relazioni internazionali. Come ho raccontato in altre occasioni, il primo vertice dei Paesi maggiormente industrializzati, al castello di Rambouillet nel 1975, fu un evento riservato e discreto senza sfoggio di lussuosi festeggiamenti. Ma dall’inizio degli anni Ottanta questi incontri cominciarono a diventare sempre più fastosi e ingombranti. Oltre a farsi accompagnare da un numero spropositato di collaboratori, i leader portano con sé «i loro cari», come disse Giulio Andreotti di Bettino Craxi durante un viaggio in Cina. Per le gentili signore occorre predisporre un programma speciale con un po’ di shopping, qualche visita a istituzioni di beneficenza e un pizzico di cultura. Comincia a diffondersi così l’abitudine dei regali, molti pagati dagli sponsor, altri dal contribuente. A mano a mano che le minacce terroristiche esigono misure di sicurezza sempre più severe, questa folla di dignitari e famigli costringe il Paese ospitante a bloccare la circolazione lungo il passaggio dei cortei, chiudere spazi pubblici all’uso dei cittadini e beninteso garantire a ogni ospite il beneficio di un guardaspalle. È stato osservato più volte in questi anni che molti sistemi politici sono diventati «monarchie repubblicane».

Non sorprende quindi che i presidenti abbiano preso abitudini regali. Come ai tempi in cui i re e gli imperatori erano tutti cugini e si scrivevano lettere affettuose anche quando stavano per farsi la guerra, i presidenti repubblicani si abbracciano, si baciano sulle guance, si chiamano familiarmente per nome. È inevitabile che in un tale andazzo Carla Bruni diventi la regina di Francia, Svetlana Medvedeva la zarina di Russia, Michelle Obama abbia diritto a onori regali e i suoi figli siano trattati come principi del sangue. Per i loro svaghi e capricci si aprono negozi in ore di chiusura (è accaduto a Parigi per Michelle) e si precettano ristoranti. I re debbono lavorare, naturalmente, ma la loro regale persona non può essere privata delle sue abitudini quotidiane. Per re Barack è stato attrezzato all’Aquila un campo di baseball. L’aspetto più paradossale di questo fenomeno è il ruolo delle mogli. Viviamo in un’epoca in cui le donne hanno conquistato il diritto a un’esistenza autonoma, indipendente da quella del marito o del compagno. Ma le monarchie repubblicane le costringono a recitare, sia pure con tutti gli onori del caso, la parte della «consorte»: un ruolo pieno di omaggi e privilegi, ma pur sempre, in una prospettiva femminista, servile.

http://www.corriere.it/romano/


Una critica, una riflessione, un piccolo parallelo !

Cosa aggiungere se non ripetere per l’ennesima volta che l’ideologia malata in cui credono i repubblicani si regge sulla truffa ipocrita a spese di coloro che appunto “credono” senza spirito critico e normale buon senso ?

A Sig. Sergio Romano però un appuntino ci permettiamo di farlo ugualmente. Siamo suoi affezionati lettori, ed una piccola critica, servirà a rinsaldare la grande stima che abbiamo di Lui.
Egli fa dei paralleli che non trovano riscontro storico, o che comunque ci parlano di epoche lontane tra loro.
Lo Zar di Russia 100 anni fa, viveva in un’epoca e si comportava conformemente ad all’epoca che viveva. Obama oggi, così come Sarkozy, vivono un’altra epoca, e ci pare che lo facciano senza tener conto che è diversa da quella vissuta dallo Zar, fidando sulla parolina magica “democrazia”, …che permette ai potenti che hanno mandato dal popolo, di comportarsi come il peggior tiranno distribuendo la loro responsabilità su ognuno dei propri elettori.
E’ l’uovo di colombo insomma. Viva la repubblica e viva la democrazia !

Chiudendo questa riflessione comunque, non possiamo esimerci dal fare un parallelo anche noi…
A L’Aquila dopo il terremoto, sono passati tutti i possibili potenti. Hanno visitato, hanno parlato, hanno promesso.
A Napoli nel 1884 preda di un’epidemia senza precedenti di colera, e a Messina/Reggio Calabria 1908 dopo il cataclisma, Casa Savoia e la Monarchia seppero riporre la giacca ed il cilindro, l’ombrellino da sole e la carrozzella per sporcarsi le mani. Non un giorno per le fotografie di rito, …ma tutto il tempo necessario a ridare fiducia e speranza ad un popolo.
Che sia forse questa la “piccola” differenza tra una Monarchia ed una repubblica ?
Un Sovrano si impegna ogni giorno per dimostrare al popolo d’essere degno di rappresentarlo. Un Presidente invece, legittimato dalla “teoria” d’essere stato scelto dal popolo perché è il migliore, non ha bisogno di dimostrarlo, e gli è sufficiente “parlare” di democrazia !
Coordinamento UMI di Biella

lunedì 6 luglio 2009

Dalla Giordania

Un principe ragazzino per il trono di Giordania

Dal corrispondente - Francesco Battistini
04 luglio 2009

Gerusalemme - Aveva un anno, quando ammazzarono Rabin. Cinque, quando morì nonno Hussein. Ne aveva dieci, quando se ne andò Arafat. E dove­va ancora fare gli undici, quando papà Abdallah silurò lo ziastro Hamzah, l’erede al trono. Nella sua breve vita di principe ragazzino, Hussein ha già visto abba­stanza per capire che in Medio Oriente nulla è precario e spesso violento come il potere. Una cosa però l’aveva imparata presto: che a 15 anni la corona sarebbe stata promessa a lui. Le cronache di corte non dicono come l’abbia accolta, ma riferiscono in che modo gli è stata conferita: una firma in calce al papiro, che papà ha apposto mentre accompagnava all’aeroporto l’ospite di turno, il dittatore turkmeno Berdymukhamedov. Poche righe, come si usa per faccende su cui c’è nulla da di­scutere: «Noi, Re Abdallah II del Regno Hashemita di Giorda­nia, in attuazione del Paragrafo A dell’Articolo 28 della Costitu­zione, promulghiamo il Nostro Decreto Reale con la nomina del Nostro figlio maggiore, Sua Altezza Reale Principe Hussein Bin Abdallah II, a Principe della Corona. Egli sarà investito di tutti i diritti e le prerogative relative a questo decreto...».

Nel nome del papà re, non s’è perso tempo. Il ragazzo ha festeggiato il com­pleanno domenica. Martedì, il sigillo rea­le. Giovedì, è stato comunicato al mondo che la monarchia, «stirpe diretta di Maometto», aveva il suo erede in questo occhialuto capellone che bisticcia anco­ra coi tre fratellini, divora in tv le partite del Barcellona, eppure è considerato il discendente numero 44 del Profeta. Si chiamerà Hussein II e, come il non­no, ha la passione dei motori. Entra nel club dei principi ereditari, fra aspiranti attempati tipo Carlo d’Inghilterra e pre­tendenti- bebè come Hassan del Maroc­co, ma l’età non imbarazza né lui né i ge­nitori: mamma Rania, a 28 anni, è stata la più giovane regina del mondo. «Que­sta nomina lo priverà dell’infanzia - ha detto una volta la sovrana - e influirà nei suoi rapporti con gli altri. Ma ci sono anche aspetti positivi». Il primo aspetto, positivissimo per la famiglia reale, è che una volta per tutte esce di scena il principe Hamzah, il fra­tellastro ventinovenne di Abdallah. Die­ci anni fa, poco prima di morire, il vec­chio Hussein aveva indicato lui quale principe ereditario: un modo per sparti­re il potere tra i rampolli della seconda moglie inglese, mamma di Abdallah, e quelli della quarta, Nur, mamma di Hamzah. La volontà era stata rispettata. Fino al 2004, quando il re con un editto ufficializzò l’intrigo di corte: via il tito­lo, la sedia di Principe della Corona re­stava vuota, Abdallah ringraziava il fra­tellastro per la rinuncia a «questa carica simbolica che ne ha ristretto la libertà d’azione e gli ha impedito d’esercitare le nuove responsabilità».

Quali responsabilità? Presidente del museo dell’automobile, dell’aero­club, della Federbasket, della fonda­zione per la protezione degli alberi... Insomma, fuori. Il principe ragazzino potrà presenzia­re a qualche parata, ma fino a 18 anni è escluso che si occupi di politica. Sarà la politica a occuparsi di lui, probabilmen­te. Innanzitutto perché buona parte del­la comunità sunnita, il 95% del Paese, si dice non avrebbe sgradito un’altra scelta (al rassegnato Hamzah, figlio d’una regi­na che si convertì all’Islam, già una volta era stato preferito Abdallah, che è figlio d’una regina di radici cristiane). E poi perché 15 anni sono l’età giusta per co­minciare a imparare, in un eterno conflit­to israelo-palestinese che proprio in que­ste settimane ripropone, da Gerusa­lemme, ritornelli come l’«opzione gior­dana », ovvero l’idea vecchia d’almeno vent’anni d’annettere al regno hashemi­ta gran parte della Cisgiordania. Non si sa quando sarà la festa, per il nuovo erede. Né se ci sarà. I giornali di Amman dedicano poche righe all’inve­stitura. E nella preghiera del venerdì, agli imam è vietato parlarne.
«Era la Co­stituzione a richiedere che si coprisse la carica - spiega Muhammad al Moma­ni, politologo della Yarmouk University -. Credo che l’opinione pubblica apprezzi, nel complesso. L’età? Non conta molto che Hussein abbia o no esperienza: era importante dare un segno di sta­bilità del sistema. In fondo, questa è una monarchia che funziona meglio di molte repubbliche arabe».
O per dirla con Hamzeh Mansur, leader in Parlamento del partito islamico e legato ai Fratelli musulmani: «Sulle cose del re, decide il re. Fa quel che vuole. È al di sopra della legge. E noi possiamo solo guardare, senza protestare».