mercoledì 29 dicembre 2010

L’ARALDO di Biella – Numero di Gennaio 2011

L’ARALDO di Biella – Numero di Gennaio 2011

È disponibile in linea il nuovo numero de “L’ARALDO di Biella” di Gennaio. Questo è il 6° anno per il nostro piccolo foglio informativo.
Ampliato di recente e ricco di 9 diverse rubriche fisse, in questo numero segnaliamo i seguenti articoli, che riteniamo interessanti e molto attuali :

Non c’è più legge se non c’è religione

L’islam secondo Tommaso

Dall’Estero : Piccole Europe crescono

I conti segreti dell’Inps : Le proiezioni sulla previdenza


Segnaliamo inoltre agli amici monarchici l’editoriale di apertura “Primavera di speranza !
L’anno 2011, traguardi, utopie e possibilità - Un paese in ginocchio in attesa di risvegliarsi” in cui viene tracciato un possibile sviluppo in primavera per l’azione politica dei monarchici italiani, legato alla condizione della compagine governativa in crisi, e ad una opposizione nel caos.

Buona parte degli articoli proposti, sono integrati da note della redazione, opinioni, riflessioni ed analisi, che rendono la lettura interessante e strumento di ulteriore riflessione !

Redazione de “L’ARALDO di Biella” – 01.01.2011

Numero on line : 01.2011 – Gennaio 2011 

martedì 28 dicembre 2010

A Re Vittorio Emanuele III

Alleanza Monarchica - Biella
ricorda SM il Re d’Italia
Vittorio Emanuele III di Savoia

Oggi nella ricorrenza della sua morte avvenuta il 28 dicembre 1947, desideriamo rendere omaggio ad un uomo che tanto ha dato alla nostra Patria, poco ha chiesto e nulla ha ricevuto.
Sepolto provvisoriamente in terra d’Egitto, dietro l’altare maggiore della chiesa di Santa Caterina in Alessandria, attende che l’ostracismo di questa repubblica delle vergogne cada, permettendoGli di occupare al Pantheon in Roma il posto che Gli spetta tra i grandi d’Italia.


Nato a Napoli l’11 novembre 1869 dal Re d’Italia Umberto I e dalla Regina Margherita, già Principessa di Savoia-Genova, sposa il 24 ottobre 1896 a Roma la Principessa Elena del Montenegro.
Principe Ereditario fino al 29 luglio 1900 con il titolo di Principe di Napoli.
Re d’Italia dal 29 luglio 1900 al 9 maggio 1946.
Il 9 maggio 1946, dopo l’abdicazione in favore del figlio Umberto, parte da Napoli in esilio volontario con la Consorte alla volta di Alessandria d’Egitto, scegliendo per sé il titolo di Conte di Pollenzo.

28 dicembre 2010

Alberto Conterio
Commissario per il Piemonte
Alleanza Monarchica – Stella e Corona

giovedì 23 dicembre 2010

Buon Natale a tutti !

Buon Natale a tutti !

Alleanza Monarchica - Stella e Corona di Biella, augura ogni bene a tutti i nostri lettori e a tutti gli amici, nella speranza che il prossimo anno possa essere migliore e trascorrere più sereno.


Le sfide che si presenteranno con l’inizio del 2011, vedrà noi Monarchici ancor più impegnati e presenti nell’affermare ancora una volta soprattutto la fiducia nella nostra Patria e nelle più radicate tradizioni della nostra italianità, rappresentate oggi come nei secoli passati dalla millenaria storia di Casa Savoia.
Noi saremo quelli di sempre, non ci arrenderemo al disfattismo, e alla corruzione perché siamo certi che presto la nebbia che impedisce alla gente onesta di vedere la realtà, non sarà più sufficiente a coprire questo caos. Allora l’opzione valida non potrà che essere quella offerta da Stella e Corona, l’unico movimento politico “pulito”, che in questi anni non ha partecipato al banchetto degli interessi e delle complicità. Al contrario invece, ha denunciato 10, 100 e 1000 volte questo “commercio” senza però riuscire a parlare ai grossi numeri dell’opinione pubblica a causa di un informazione colpevole e addomesticata !

Del resto, non potendo contare sulle virtù, questa repubbliche si difende così.
Le repubbliche passano però, mentre le Monarchie restano …come i grandi esempi appunto !

Rinnoviamo quindi i nostri Auguri e ringraziamo quanti hanno fiducia in noi.

Buon Natale !!!

Alberto Conterio
Commissario per il Piemonte
Alleanza Monarchica – Stella e Corona

mercoledì 22 dicembre 2010

Ora di religione opportunità di formazione

Cei : ora di religione
opportunità di formazione

2 dicembre 2010

“Siamo persuasi che la dimensione religiosa è costitutiva dell’essere umano e che l’insegnamento della religione cattolica può aiutare i giovani a interrogarsi e riflettere, per elaborare un progetto di vita capace di arricchire la loro formazione, con particolare riferimento agli aspetti spirituali ed etici dell’esistenza, stimolandoli a interpretare correttamente il contesto storico, culturale e umano della società, in vista del loro coinvolgimento nella costruzione della convivenza umana”. È questo il cuore del messaggio della presidenza della Cei in vista della scelta di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica (Irc) nell’anno scolastico 2011-2012, diffuso oggi.


“Per la Chiesa in Italia – esordiscono i vescovi – questo è un anno speciale, perché segna l’inizio di un decennio caratterizzato da una rinnovata attenzione all’educazione, riconoscendo nell’arte delicata e sublime dell’educare una sfida culturale e un segno dei tempi”.
“Lo studio delle fonti e delle forme storiche del cattolicesimo è parte integrante della conoscenza del patrimonio storico, culturale e sociale del popolo italiano e delle radici cristiane della cultura europea”, si legge infatti negli Orientamenti Cei per questo decennio, dal titolo “Educare alla vita buona del Vangelo”.

Ora di religione e riforma
Per la Cei, la scuola costituisce “un luogo irrinunciabile per promuovere l’educazione della persona” e l’Irc “permette di affrontare le questioni inerenti il senso della vita e il valore della persona alla luce della Bibbia e della tradizione cristiana”. Tale insegnamento, inoltre, “si inserisce oggi nel processo di riforma della scuola italiana, mediante la proposta di nuovi traguardi per lo sviluppo delle competenze e di obiettivi di apprendimento nella scuola dell’infanzia e del primo ciclo, e con la prospettazione di competenze, conoscenze e abilità nel secondo ciclo”.

Il ruolo degli insegnanti
“Gli insegnanti di religione cattolica – assicurano i vescovi – forti di una formazione umana e spirituale radicata nell’appartenenza ecclesiale e arricchiti nella cura costante di una professionalità adeguata alle nuove sfide culturali, si offrono come protagonisti, in sinergia con i colleghi delle altre discipline, di un’azione pedagogica illuminata dalla fiducia nella vita e dalla speranza, capace di raggiungere il cuore e la mente dei giovani, facendo leva sulle loro migliori risorse e proiettandoli verso quei traguardi di senso che lasciano intravedere la bellezza di una vita autenticamente buona”.

Alto tasso di adesione
Nell’anno scolastico 2009-2010 L'Irc è stato scelto dal 90% delle famiglie e degli alunni delle scuole statali. Dato, questo, che sale al 90.80%, se si tiene conto anche di quanti frequentano scuole cattoliche. Questo alto tasso di adesione, per la Chiesa italiana “attesta la forza di attrazione di questa disciplina, di cui gli stessi avvalentisi sono i testimoni più efficaci”. “Proprio a questi studenti e alle loro famiglie – la conclusione del messaggio – chiediamo di incoraggiare positivamente quanti non l’hanno ancora scelta, affinché scoprano la ricchezza della dimensione religiosa della vita umana e la sua valenza educativa, finalizzata al pieno sviluppo della persona”.

Tratto da : www.avvenire.it/

martedì 21 dicembre 2010

L’islam secondo Tommaso

L’islam secondo Tommaso

di Jean-Louis Bruguès
15 dicembre 2010

Nella maggior parte delle società dell’Europa occidentale diventa sempre più visibile e più forte la presenza di popolazioni islamiche. In Francia, Olanda e Germania la religione islamica è ormai diventata la seconda religione dopo il cristianesimo. Questa potenza accresciuta dell’islam sta provocando cambiamenti profondi nella percezione del fenomeno religioso da parte di un’opinione pubblica fortemente secolarizzata.


In negativo, si potrebbe dire, che questa stessa opinione ha sempre più la tendenza ad associare religione e violenza, a tal punto che alcuni Paesi stanno considerando la possibilità di proibire ogni insegnamento confessionale nelle scuole, ritenendolo una fonte di divisione sociale, sostituendolo invece con una scoperta fredda del fatto religioso. In positivo, la presenza massiccia dell’islam obbliga a riconsiderare il ruolo propriamente sociale di queste stesse religioni e le pratiche spesso molto antiche della laicità.
Se l’islam si considera una religione squisitamente comunitaria, e quindi sociale, al punto che il termine comunità è quello che più la caratterizza, è sempre più difficile relegare il fenomeno religioso nel privato, cioè nello spazio ristretto della coscienza individuale. Così è nato il concetto, inatteso, della laicità positiva, per coloro che credevano di <+corsivo>aver chiuso<+tondo> con il religioso.
Nel 2000, nel rendere pubblica la Dichiarazione Dominus Jesus sull’unicità e universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, il magistero ha proposto una Carta dello sviluppo legittimo della teologia cattolica delle religioni. È dunque all’interno di questa «carta» che conviene formulare le seguenti domande: come capire l’Islam? Qual è il valore delle sue dottrine e istituzioni culturali? Qual è il suo posto in ciò che noi chiamiamo l’economia della salvezza?
La domanda è nuova in quanto viene posta nel contesto della mondializzazione e del pluralismo culturale che, come è stato ricordato sopra, sono caratteristiche tipiche della società del nostro tempo. Si tratta anche di una domanda molto tradizionale, nel senso che da molto tempo, in verità fin dalla sua nascita, durante l’impero romano, il cristianesimo si è interrogato con personalità forti come san Giustino sulla possibilità della salvezza personale per gli «infedeli in buona fede». È necessario, dunque, rifarsi agli antichi. Non è impossibile, dopotutto, che questi antichi riescano a illuminarci su problematiche nuove o almeno riproposte. Cosa direbbe Tommaso d’Aquino?
Vale la pena ricordare prima di tutto una proposizione teologica audace, relativa alla salvezza personale degli infedeli, che non è sicuro sia condivisa oggi da tutti i teologi. Tommaso insegna che non si può essere salvati senza la fede in Cristo, ma che non è necessario che questa fede sia per tutti così esplicita come presso coloro che hanno avuto la fortuna di ricevere il Vangelo. Già per sant’Agostino o Gregorio il Grande, la Chiesa vera che supera di molto i confini istituzionali visibili, raccoglie igiusti di tutti i tempi. «Dio vuole salvare le persone di ogni categoria», scrive il domenicano, «uomini e donne, giudei e gentili, piccoli e grandi; ma non necessariamente tutte le persone di ogni categoria», cioè non quelle che si sono escluse da sé conducendo una esistenza contraria alle prescrizioni della legge naturale.
Tommaso conosceva due tipi di non-cristiani: i musulmani, a cui si sta facendo riferimento, e soprattutto i giudei, più vicini perché vivono all’interno del mondo cristiano. Può darsi che egli avesse sentito parlare dei Mongoli e dei Tartari, ma, salvo errore da parte nostra, egli non vi fa alcun riferimento particolare; Marco Polo non aveva ancora fatto uscire il racconto dei suoi viaggi in Estremo Oriente.
Per quanto riguarda i maomettani, o i saraceni (a volte egli usa l’espressione i mori), Tommaso d’Aquino ci offre tre intuizioni che noi avremmo certamente interesse ad approfondire. In primo luogo, poiché questi non riconoscono alcuna autorità alle Sacre Scritture, è inutile portare la discussione su questo terreno; gli argomenti di scambio non possono che riguardare la ragione naturale.
Notiamo di passaggio che, anche se egli li combatte vigorosamente, Tommaso riconosce il valore intellettuale dei migliori rappresentanti della filosofia araba, Avicenna o Averroè.
In effetti, egli stesso non ha mai letto il Corano, anche se ai suoi tempi c’erano due traduzioni in latino. In secondo luogo, il loro Dio non è sicuramente quella trinità di persone, che fa apparire il cristianesimo ai loro occhi come una specie di politeismo – e si sa che questo punto costituisce uno degli ostacoli più grandi nello scambio teologico –, ma egli è comunque una sola persona: «La natura di Dio, come è in sé, non la conosce né il cattolico né il pagano; ma l’uno e l’altro la conoscono secondo una certa ragione di casualità, o d’eminenza, o di negazione».
Si può pensare che Tommaso d’Aquino, per i due motivi appena menzionati, non si sarebbe aspettato di ottenere grandi risultati da uno scambio propriamente teologico tra le due religioni (sarebbe andato sicuramente in modo diverso per uno scambio filosofico). È l’opinione della maggioranza dei teologi ancora oggi. Per contro, i cristiani dei nostri tempi si chiedono quale atteggiamento adottare nei confronti dei musulmani. Di fatto la Dichiarazione Nostra aetate incoraggia i cristiani a promuovere insieme con i musulmani «la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà» per tutti gli uomini.
Sicuramente il Dottore della Chiesa non ha mai avuto una conoscenza diretta di questo ambiente. Egli propone una riflessione squisitamente teologica. Affrontando la questione da un punto molto elevato, ci offre un prezioso filone di ricerca. Egli ricorda che nella sua onnipotenza Dio permette il verificarsi dei mali nel mondo, per timore che eliminandoli siano impediti dei beni ancora più grandi. Non afferma che la pratica di un culto pagano sia un bene in sé, ma non conclude neanche che tutte le azioni di questi stessi pagani costituiscano dei peccati.
Alcuni tra loro, come il centurione Cornelio degli Atti degli Apostoli, possono anche non essere infedeli nel senso spirituale del termine. In ogni caso, i pagani non devono mai essere costretti ad abbracciare la fede in Cristo; non abbiamo il diritto di battezzare dei bambini non cristiani contro la volontà dei loro genitori. Tommaso va oltre: i Príncipi infedeli possono legittimamente esercitare la loro autorità su soggetti cristiani, perché il diritto divino della grazia della fede non sopprime la sovranità né l’autorità del diritto umano che emana dalla legge naturale.

Tratto da : www.avvenire.it/

lunedì 20 dicembre 2010

Scuola d'Italia migliora la pagella

Scuola d'Italia
migliora la pagella

di Enrico Lenzi
8 dicembre 2010

Ancora sotto la media, ma con qualche miglioramento nei risultati, che inverte un trend negativo. È la fotografia scattata all’Italia dall’indagine internazionale Ocse-Pisa sui livelli scolastici di competenza dei quindicenni in lingua, matematica e scienze. Una rilevazione triennale presenta ieri mattina nella sede dell’Invalsi (l’Istituto di valutazione del sistema scolastico) in contemporanea a Parigi, sede dell’Ocse, cioè l’organismo internazionale che la realizza dal 2000 ogni tre anni ed è giunta alla sua quarta edizione.
Risultati che soddisfano il ministro della Pubblica Istruzione Mariastella Gelmini che, commentandoli, parla di «risultati che ci rendono orgogliosi, anche perché le classifiche internazionali mettono il nostro Paese tra quelli che hanno avuto tra i più significativi miglioramenti».


E in effetti nelle precedenti tre rilevazioni, l’Italia, oltre ad aver conseguito un dato nazionale al di sotto della media Ocse in tutti e tre i campi di indagine, aveva anche mostrato nelle prove del 2003 e del 2006 un peggioramento complessivo dei risultati, creando non poche polemiche e preoccupazioni all’interno del mondo della scuola.
Con la rilevazione del 2009 il nostro Paese sembra poter tirare un sospiro di sollievo, anche se la strada da fare è ancora moltissima. Infatti, pur con i miglioramenti, i nostri quindicenni rimangono ancora sotto la media Ocse in tutti i campi d’indagine: la lingua italiana (486 il punteggio nazionale contro i 493 della media Ocse), la matematica (483 contro la media di 496) e le scienze (489 contro i 501).
La comprensione della lingua nazionale. Si tratta della quarta rilevazione, visto che nel 2000 il focus fu proprio sulle competenze linguistiche, ripetuto poi nel 2009. Il risultato ci vede recuperare il risultato di dieci anni fa dopo una curva decrescente che aveva gettato nello sconforto la scuola italiana.
I risultati di italiano per macroaree. Cinque le aree individuate, ancora una volta si nota come al Nord il risultato si collochi non solo sopra la media nazionale, ma anche sopra quella Ocse. Infatti, nel Nord-Ovest si ha un punteggio di 511 (contro i 486 nazionali e i 493 Ocse), mentre al Nord-Est si è a 504. In linea con la media nazionale il Centro (488), mentre nel Sud si ottengono 468 punti che scendono a 456 nel Sud-Isole. Ma non tutte le Regioni del Sud si collocano sotto la media nazionale. Fa eccezione la Puglia, che con 489 supera i 486 nazionali. In cima alla classifica si colloca la Lombardia con 522 punti, frutto anche di un lavoro, spiegano i responsabili dell’Invalsi, fatto negli istituti di formazione professionale.
Bene i licei, meno i professionali. È l’altro dato che emerge dall’indagine che coinvolge i quindicenni che frequentano la scuola o i corsi di formazione. E proprio nei licei si raggiunge per la comprensione del testo in lingua italiana il livello più alto (541), mentre le altre tre tipologie di istituti si collocano sotto la media nazionale: 476 ai tecnici, 417 ai professionali, 399 ai corsi professionali.
Più brave le ragazze, in italiano. È un dato che emerge spesso nelle indagini internazionali sulle competenze nelle diverse discipline: le studentesse ottengono risultati migliori rispetto ai loro colleghi maschi. E anche in questo caso il dato è confermato. Nella comprensione del testo, le ragazze ottengono un punteggio di 510 contro il 464 dei maschi. Situazione ribaltata per la matematica, in cui i maschi ottengono un punteggio di 490, mentre le ragazze si fermano a 475. Quasi paritaria la situazione in campo scientifico: 488 a 490, con una leggera prevalenza delle ragazze.
Le competenze in matematica. Anche in questo caso i quindicenni italiani si collocano ancora al di sotto della media Ocse, ma viene confermato il trend in crescita, aumentando il punteggio complessivo ottenuto rispetto al 2003 (+17 punti) e al 2006 (+21 punti). Si nota che in questo miglioramento il contributo maggiore viene dalle macroaree del Sud (+25 punti) e del Sud-Isole (+34).
Il punteggio per le scienze. Trend in crescita anche in questo settore, che, però, ha un solo raffronto con l’indagine 2006: in tre anni i quindicenni italiani hanno conquistato 13 punti in più.

Tratto da : www.avvenire.it/

domenica 19 dicembre 2010

Non c’è più legge se non c’è religione

Non c’è più legge se non c’è religione

Intervista di Andrea Galli
30 novembre 2010

«La religione dà alla legge il suo spirito e ispira la sua adesione alla tradizione e alla giustizia. La legge dà alla religione il senso dell’ordine, dell’organizzazione e dell’ortodossia». Parla John Witte jr., direttore del Centro per lo studio della Legge e della Religione all’Emory University di Atlanta, negli Stati Uniti, considerato uno dei maggiori esperti nel mondo anglosassone di relazioni tra Stato e Chiesa. E osservatore attento, pur essendo di formazione calvinista e lavorando in un ateneo metodista, del contributo cattolico al dibattito sulla laicità. Interverrà stasera al Centro culturale di Milano, insieme al costituzionalista Andrea Pin, sul tema «Democrazie, Diritto e Stato a partire dal discorso di Benedetto XVI a Westminster», e venerdì alle 18 alla Fondazione di Venezia su «La religione in America».


Professor Witte, la sua posizione su religione e legge non sembra lontana da quella espressa dal Papa a Londra, alla Camera dei Lords, quando ha parlato del contributo della religione al dibattito politico.

«Ho trovato quel discorso del Papa molto efficace, una ripresa sintetica di punti cardinali della Dignitatis Humanae e della Veritatis Splendor. Il magistero e in particolar modo la dottrina sociale della Chiesa cattolica sono un riferimento importante nel nostro Centro alla Emory University, da diversi anni. Molti dei nostri ricercatori, per quanto non cattolici, sono particolarmente versati sull’argomento. Questo perché se il mondo protestante ha abbandonato una visione organica del rapporto tra fede e diritto, fede e politica, agli inizi non è stato così. Riandando al XVI secolo, ai padri della Riforma, si può vedere come in loro fosse presente un’elaborata visione di questo rapporto. Il nostro sforzo è stato di tornare a queste origini, cercando di far capire come per la scienza giurisprudenziale sia necessario studiare le fonti spirituali che hanno orientato il diritto per come lo conosciamo oggi. E come per la fede sia necessario confrontarsi in modo serio con i problemi del diritto contemporaneo. Sviluppando una capacità di argomentazione che le permetta di essere una risorsa per il dibattito pubblico. Ed è quello che invita a fare il Santo Padre».

Benedetto XVI, pur senza citarlo esplicitamente, ha fatto riferimento al diritto naturale quando ha detto che «le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione». È questa il punto di mediazione e di raccordo con la laicità. E nella tradizione protestante il diritto naturale non gode di buona fama…

«Su questo punto siamo stati "ingannati" dai grandi pensatori protestanti dell’800 e ’900, in particolare Karl Barth, secondo cui i protestanti non avrebbero mai creduto nella legge naturale. Grandi e brillanti teologi, ma che hanno distorto la tradizione protestante. In realtà, se uno torna alle fonti che citavo prima – da Melantone a Lutero a Calvino – può notare in tutti una riflessione sul diritto naturale, improntata a un forte senso dell’ordine della creazione. La riscoperta di questa tradizione, per chi la compie, ha tra l’altro spesso come conseguenza un riavvicinamento al mondo cattolico».

Detto da un protestante che lavora in Georgia, in quel Sud dove l’anticattolicesimo è ben radicato, fa quasi effetto…

«L’anti-cattolicesimo negli Stati Uniti si basava sull’immagine e sulle posizioni della Chiesa pre-conciliare. Dopo il Concilio, gradatamente, molti pregiudizi sono scomparsi. Ad aiutare questo processo, attualmente, c’è poi un ritorno di interesse per la patristica, latina e greca, da sant’Agostino a san Giovanni Crisostomo. E chi legge questi Padri della Chiesa tra l’altro, soprattutto Agostino, capisce l’importanza che aveva per loro il diritto naturale. Tutto questo costituisce un’opportunità per un ecumenismo oggi quanto mai necessario: di fronte a una civilizzazione che si fa sempre più ostile ai cristiani in quanto tali, è necessario che costoro mettano in secondo piano le divisioni e prima di tutto riscoprano il loro far parte dello stesso corpo di Cristo, in secondo luogo trovino una sorta di alleanza per difendere la propria fede e i propri valori».

Lei sottolinea con forza il contributo della religione e del cristianesimo particolarmente alla democrazia. Condivide il famoso «ditkum» del giurista tedesco Ernst- Wolfgang Böckenförde, quello secondo cui «lo Stato liberale, secolarizzato vive di presupposti normativi che non può garantire»?

«Per dirla in estrema sintesi: sì. Il moderno liberalismo vive effettivamente di postulati teologici formulati da cattolici e protestanti nei secoli. Molti dei fondamenti delle istituzioni democratiche – dall’ordine costituzionale, al ruolo della legge, ai diritti dell’individuo, eccetera – si reggono su un substrato teologico. I diritti umani si reggono su un’ontologia dell’uomo, da cui deriva la sua dignità. L’individuo è sovrano e di conseguenza il popolo è sovrano perché riflette la sovranità di Dio».

Tratto da : www.avvenire.it/