Metamorfosi di una monarchia
Principi si nasce, e Baby George modestamente lo nacque
Inghilterra in estasi. Come rendere indimenticabile un erede
al trono e la sua famiglia
di Annalena Benini
29 luglio 2013
Ancora una volta Kate Middleton ha fatto “la cosa
impeccabile”, ha commentato Tina Brown (biografa assoluta di Lady Diana,
scopritrice di tormenti, segreti e meraviglie della Casa reale inglese). La
cosa impeccabile è avere dato all’Inghilterra un principe. Un maschio quindi, a
dispetto della modernità, del femminismo e del mondo nuovo. Anche se tutti
dicevano che sarebbe stato magnifico se fosse nata una piccola principessa, da
chiamare Diana, magari come terzo nome per non fare arrabbiare troppo la
regina, una bambina che verso il 2070 sarebbe potuta salire al trono, dopo il
padre, una bambina in cui si sarebbe cercato il sorriso di Diana, trovandovi
invece magari quello più determinato dell’altra nonna, Carole Middleton, anche
se sarebbe stata comunque una festa, la verità profonda, magari sgradevole,
reazionaria, ma sincera, è che tutti volevano che fosse un maschio. Volevano
proprio il principe George. Per chiudere il cerchio, per tornare da dove
avevano cominciato, più di trent’anni fa, quando una ragazza bionda girava in
tondo su una bicicletta prestata suonando il campanello e cantando: “Sposerò il
principe di Galles domani!”.
E davvero Diana aveva creduto, almeno all’inizio, a quella
favola, e quando al St Mary’s Hospital, il 21 giugno 1982, a Londra, nacque il
principe William, la vita di Diana si compì e sembrò bellissima (anche se poi
confessò al suo valletto che la nascita di William era stata indotta in
anticipo per adeguarsi al calendario delle gare di polo di Carlo): tre decenni
dopo, il destino finalmente si è completato. In un modo del tutto diverso, dove
la differenza sostanziale è data dall’amore. William ama Kate come Carlo non
riuscì mai ad amare Diana, William ama Kate come Diana gli ha insegnato a fare,
quando lo teneva fra le braccia, bambino, quando gli scompigliava i capelli e
quando gli confidava le sue pene d’amore (William fu il più stretto confidente
di sua madre, lei lo gravò di molti segreti e gli fece perfino esaminare i
termini di divorzio prima di accettarli). Diana volle che Carlo entrasse in
sala parto, in un altro tentativo di farlo innamorare della loro famiglia,
Diana voleva sovvertire i modelli del passato e occuparsi dei propri figli,
abbracciarli, sbaciucchiarli, evitare lugubri bambinaie di famiglia, evitare i
saluti formali, la tristezza di quei periodi solitari in campagna, il divieto
di piangere anche se muore il cagnolino da caccia adorato. Diana voleva un
mondo a forma di cuore, in cui lei potesse risplendere di felicità, e William
un giorno, dopo il divorzio da Carlo, glielo promise. “Non preoccuparti mamma –
le disse il ragazzo quando venne a sapere che Diana non era più sua Altezza
Reale – Un giorno, quando diventerò re, ti restituirò il tuo titolo”. Non ce
n’è stato il tempo, ma quella frase significava molto di più. Ti restituirò la
vita sognata, ti restituirò la favola dell’amore, ti restituirò una bella
famiglia. Adesso William l’ha fatto: è uscito dal St.Mary’s Hospital in maniche
di camicia, non ingessato come il padre che anche a trent’anni indossava solo
rigidi abiti da cerimonia, ed è uscito raggiante di felicità, non distaccato e
freddo come Carlo: nelle foto di allora, Carlo e Diana potrebbero essere due
fotomontaggi uniti per formare un’unica immagine, tanta era la distanza, la
differenza fra i due.
Solo i pois, adesso, sono gli stessi. I pois del vestito
ancora premaman con cui la radiosa Kate è uscita dall’ospedale con il suo
piccolo principe in braccio, per niente spaventata, per niente scossa, per
niente preoccupata di mostrare la sua pancia post parto, quella che hanno tutte
le donne del mondo ma che si ritiene le celebrità debbano nascondere, ingoiare,
stringere sotto scudi elastici. Kate Middleton, la ragazza che ha preso il
posto di Diana nel cuore di William, aveva quel vestito a pois, apparentemente
ingenuo, sbagliato perfino (perché indossare un abito premaman se hai partorito
da ventisei ore, se la tua pancia è vuota?), ma evocativo. Del giorno in cui
era nato William, e della volontà di cambiare la storia. Non vedete, sembrava
dire con quel sorriso, con quei mille sorrisi che sembravano sempre sul punto
di sciogliersi in una risata, come è tutto diverso adesso? Non vedete quanto
siamo innamorati? E io non ruberò la scena a William, come faceva Diana con
Carlo, non ne avrò bisogno perché in questo matrimonio siamo in due, non in
tre, e adesso c’è questo piccolo principe con noi. E William mette l’ovetto
nero in macchina, e prima dice che per fortuna il bambino assomiglia a Kate.
Trentun anni fa, anche la regina Elisabetta disse qualcosa del genere guardando
William per la prima volta: “Grazie al cielo non ha le orecchie di suo padre”.
Un po’ di humour inglese, come quando Elisabetta disse che sperava che il
bambino nascesse in fretta perché doveva andare in vacanza, e di nuovo
l’assenza, questa volta anche fisica, del principe Carlo, arrivato in ritardo
da New York, con Camilla. Al suo posto, Carole Middleton e marito, i nuovi
nonni: raggianti, protagonisti, concreti, con già pronta la residenza estiva
del piccolo principe, la nursery nella tenuta di campagna da cinque milioni di
sterline, da dove Pippa Middleton, la sorella ancora da sistemare, manda
entusiastici tweet d’amore per il nipotino, e lei e William si retwittano l’un
l’altro la foto della manina di George. Pazzi di gioia. Di giovinezza e di
certezze. Questa volta andrà bene. Scriveva Tina Brown, che aveva incontrato
Diana già nel 1981, quando era una sposa novella con le guance morbide e
rosate, che guardandola negli occhi la si poteva intravedere là dentro, da
qualche parte, che gridava. Kate là dentro grida, ma compostamente, come le
hanno insegnato nelle migliori scuole: ce l’abbiamo fatta. E i Windsor gridano
con lei, anche nel loro regno imbalsamato. Mentre il mondo non può che andare
in estasi per questa coppia che si guarda negli occhi, che ride di gusto, che
sembra avere sempre mille cose da raccontarsi, lontano dalle telecamere e dai
vecchi pomposi della Casa reale (si potevano immaginare Carlo e Diana sul
divano a guardare un film abbracciati? Carlo andava a caccia, Diana piangeva e
gli tirava dietro le pantofole, poi correva a svuotare il frigorifero, oppure
Diana entrava in bagno e sentiva Carlo che parlava al telefono, credendo di
essere protetto dallo scroscio della doccia: “Qualunque cosa accada, non
smetterò mai di amarti”).
“E’ un’emozione molto speciale, che credo abbiano provato
tutti i genitori”, ha detto Kate Middleton alla folla festante che sventolava
bandierine inglesi, striscioni con scritto: benvenuto piccolo principe, l’ha
detto alle persone che stavano lì accampate da giorni per poter vedere la
duchessa con il suo bambino e il principe finalmente felice, l’ha detto alla
famiglia Reale, a Carlo che era assente, ai suoi genitori che la salveranno dal
pericolo dell’imprinting da gelida etichetta reale su un neonato innocente (c’è
una foto di Carlo bambino che lo mostra mentre porge un saluto formale alla
madre, la regina, al suo ritorno da un viaggio di sei mesi nel Commonwealth).
Kate non verrà ricordata per le battute fulminanti, per la brillantezza, e non
ha la capacità mediatica che aveva Lady D di fare centro a ogni sorriso, di
irradiare quella speciale luce da attrazione fatale verso la macchina
fotografica: Diana sentiva a chilometri di distanza un obiettivo e ogni volta
si metteva nella giusta posizione, era la regista della propria mise en scène,
come ha scritto Tina Brown, e l’unico al mondo che poté resistere al suo
immenso potere seduttivo, e che anzi alzò muri di Berlino per proteggersi da
lei e dalla sua vitalità, era suo marito Carlo, il padre dei principi, l’uomo
che non riusciva ad amarla e che voleva che Harry fosse una bambina, come nella
tradizione Windsor (“Ha persino i capelli rossi!”, pare abbia esclamato Carlo,
contrariato, quando dopo nove ore di travaglio Harry nacque, sempre al St.
Mary’s, nel 1985 – Diana lo sapeva fin dall’amniocentesi, ma non disse nulla al
marito, e si convinse poi che la mancata femminuccia avesse sprofondato il
matrimonio in una crisi ancora più profonda). Kate, diversamente da Diana,
prima di sedurre il mondo ha sedotto William. Prima di diventare, negli anni da
studentessa, Waity Katie, Katie che aspetta il suo principe, l’aveva già fatto
innamorare, gli aveva fatto intravedere la possibilità concreta di una famiglia
felice, con i bambini fra le braccia, con dei nonni affettuosi e pazzi di gioia
(la madre di Diana, cioè la nonna di William, era piuttosto alcolizzata, preda
degli uomini e detestata da Diana, e l’altra nonna è una regina, molto ironica
ma molto distaccata, una specie di generale dell’esercito, più che una vice
madre commossa).
Quando, dopo la nascita di George Alexander Louis (nome
tradizionale per fare contenti tutti), i signori Middleton sono andati in
clinica a salutare il nipote, Carole aveva stampato in faccia il sorriso della
vittoria: non più un sorriso nervoso, guardingo, a dieta, lanciato verso i
nuovi gradini da scalare per arrivare in cima al monte delle sue aspettative,
ma un sorriso disteso, perfino aristocratico: adesso la ex hostess rampicante
non è più soltanto la madre della sposa, adesso è la nonna del principe George,
adesso il sangue commoner e ottimista si è unito per sempre a quello blu,
finora circondato di tetraggine, e dentro quel sangue loro potranno portare la
forza concreta e meritata dei loro palloncini e cappellini di carta per le
feste (l’avventura imprenditoriale, cominciata sul tavolo della cucina, che ha
reso i Middleton ricchi in un modo sfacciato) e il potere sovversivo di quella
società femminile e un po’ frivola, fatta di chiacchiere fra ragazze (Carole,
Kate, Pippa) e di risate segrete e carezzevoli. William è felice dentro a
questo cerchio magico, felice come quando passava i weekend con la madre in
campagna e si divertivano a rincorrersi in bicicletta e ad ascoltare la musica
degli Who!, o come quando William suggerì a Diana di mettere all’asta per
beneficenza i suoi vecchi abiti da principessa a New York. Diana, grazie
all’idea di William, si liberò dei ruderi della vita passata, di quando era
moglie di un Windsor e non la principessa di cuori (qualcuno ricorda l’abito
blu notte con cui Diana ballò con John Travolta alla Casa Bianca? Fu comprato
da un anonimo per 222.500 sterline). Kate forse non sarebbe così magnifica nel
ballare con John Travolta (anche se per conquistare William fu capace di
sfilare con un abito completamente trasparente e anche di sfrecciare in pattini
a rotelle e hot pants), Kate non è indimenticabile, ma loro due insieme, e
adesso loro tre, Kate, William e George, lo stanno diventando.
Sono una famiglia, sono quello che Diana ha cercato per
tutta la vita, sono quello che William ha avuto soltanto a metà, e sono quello
che Kate ha sempre avuto, invece, per dono di nascita. Loro hanno polvere di
stelle negli occhi, lei nel cuore. Loro hanno quella resistenza da sangue reale
addestrato alle intemperie (sono abituati a stare in piedi tutto il giorno a
stringere mani, sotto il sole cocente o sotto la pioggia battente, senza mai
tradire malessere, sono abituati a riprendere in pochi secondi il controllo di
un cavallo imbizzarrito, sono abituati a farsi intervistare e a sembrare
affabili e disinvolti senza dire mai davvero nulla di nulla, e la regina madre,
a ottantadue anni, poteva nello stesso giorno partecipare a un pic nic, stare
in piedi nell’acqua gelida a pescare tutto il pomeriggio e ospitare una cena di
gala fino a mezzanotte come se niente fosse, tenere un discorso in perfetto
francese ai veterani dello sbarco in Normandia), Kate Middleton ha la
determinazione insegnatale dalla madre e l’innamoramento appassionato ma
composto per l’immagine di loro tre insieme. Come se non avesse sognato mai niente
di diverso in tutta la vita. Come se fosse quello il suo posto, da sempre, con
la consapevolezza però di dovere dire grazie a Diana, per avere aperto il cuore
di William, invece di metterlo sottochiave e ricoprirlo di battute di caccia,
di inchini e di storia militare. Diana soffriva quando i suoi figli passavano
l’estate a Balmoral, la residenza di campagna immersa nella nebbia e nella
brughiera, il posto che lei più odiava al mondo e dove si era sentita più sola
che mai, ma sapeva che William e Harry invece lo adoravano. “Fanno tutte queste
cose da maschi, come sparare e uccidere”, sospirava, “e poi lì c’è quella
meravigliosa pista da go-kart”.
Adesso sarà diverso. George Alexander Louis farà tutte
quelle cose da maschi, anche, come sparare e uccidere, e restare in piedi
dentro l’acqua gelida a pescare, e imitare di nascosto la rude equinità della
nonnastra Camilla, ma protetto da qualcosa che William non aveva mai conosciuto
prima, o forse ne aveva goduto solo per pochi magici momenti: l’amore e la fiducia
che i suoi genitori provano l’uno per l’altro, che li attraversa come una
corrente. La magnifica certezza che, dopo ogni incontro pubblico portato a
termine in modo impeccabile, Kate e William torneranno a essere i compagni di
appartamento all’università, e commenteranno le avventure di Pippa, le mattane
di Harry, le paroline nuove di George. Proprio come succede a tutti. Kate ha
portato per sempre, con l’approvazione di Diana, il significato della parola
“tutti” nella vita del piccolo principe e anche della famiglia Windsor, che ne
ha un gran bisogno.
Tratto da : www.ilfoglio.it/
Osservazione personale…
Al di la della pesantissima ed
infinita retorica della giornalista Sig.ra Annalena Benini , che vuole o deve
far apparire questa famigliola più normale delle famigliole normali, quando
sappiamo benissimo che “normale” non è e non può esserlo… altrimenti il suo
ruolo e il significato stesso della parola “monarchia” non avrebbe su questo
pianeta più nessun significato, dall’articolo traspare il messaggio (neanche
troppo nascosto) che, la monarchia di generazione in generazione si evolve secondo i canoni del tempo che vive!
Se in Inghilterra questa
evoluzione è portata avanti dalla coppia William e Kate, in Belgio e Olanda una
ventata di novità è rappresentata dai nuovissimi sovrani che hanno preso il posto
degli abdicatari Beatrice e Alberto. Addirittura in Vaticano, Papa Francesco,
succeduto anticipatamente per volere esplicito di Benedetto XVI, ci fa capire
quanto sia facile per una monarchia tenersi al passo con i tempi e allo stesso
modo, dimostra al contrario quali difficoltà hanno le Istituzioni rette da
repubbliche e/o oligarchie e lobbyes politiche ad attuare gli stessi. Occorre
necessariamente rivedere la concezione stessa del pensiero che viene
“insegnato” nelle nostre scuole, per comprendere e apprezzarne la differenza.
Il confronto con la nostra repubblica fossilizzatasi sul Senatore Napolitano
poi, resta addirittura incomprensibile …“fuori concorso” !!!