mercoledì 25 dicembre 2013

Le difficoltà del federalismo alla rovescia



Politica Interna 
Le difficoltà del federalismo alla rovescia
Quando “Roma ladrona” non foraggia più gli sperperi locali!

della Redazione

Il nostro curioso federalismo alla rovescia, già storicamente errato, non smette di presentare conti salatissimi ai contribuenti. Dopo l’errore di istituire le Regioni, alle prese con deficit sanitari allucinanti, tocca ora ad alcuni grandi Comuni battere cassa per tappare le voragini dei loro conti. Succede a Roma dove il neo sindaco Ignazio Marino chiede a gran voce aiuto per sanare il passivo ereditato: 867 milioni.
I suoi colleghi di Napoli e Catania peraltro avevano fatto analoghe richieste molto prima di lui e riteniamo che altri ne seguiranno l’esempio. La galleria degli orrori pubblicata Il Sole 24 Ore ad inizio ottobre percorre in lungo e in largo l’intero Paese, Milano compresa.
I Comuni, tutti i comuni, anche quelli che vogliono “essere padroni in casa loro” incolpano il taglio dei trasferimenti, sostenendo di aver sborsato il prezzo più caro per risanare le finanze pubbliche.
E sarà anche vero, ma sono denari che non hanno pagato loro!

Questo stato di cose dovrebbe indurre certi amministratori a un serio esame di coscienza, e soprattutto chi rivendica l’autonomia, dovrebbe ricordare che questa implica responsabilità. Il federalismo da molti invocato dovrebbe basarsi essenzialmente su questo basilare principio.
Il federalismo “legaiolo” è diventato invece una parola vuota, un comodo paravento per gestioni allegre e sconsiderate (o clientelari) senza essere chiamati a risponderne, anzi scaricando gli effetti sull’intera collettività.
Roma resta l’esempio più vistoso (e anche il più denunciato), una città scossa negli ultimi anni dallo scandalo delle assunzioni massicce di migliaia di parenti e amici nelle municipalizzate. Il Campidoglio ha la bellezza di 25 mila dipendenti, numero cui si deve aggiungere quello del personale delle partecipate, che il sito internet indica in 37 mila. La sola azienda di trasporto locale, l’Atac, paga circa 12 mila stipendi e ha fin’ora accumulato 600 milioni di perdite. E il servizio che offre …fosse almeno all’altezza di una capitale!

Sappiamo tutti che senza contributi pubblici nessuna azienda di trasporto locale avrebbe conti in equilibrio. Questo è un problema di ogni città, piccola e grande, perché chi sale su un autobus, un tram o una metropolitana paga un prezzo politico che non copre il costo effettivo. Non di rado però, quella frazione è infinitesima a causa della mala gestione di moltissime aziende locali di trasporto; il resto viene caricato sulle spalle di tutti gli italiani. Questi sono così chiamati a ripianare non solo il peso di un servizio a loro dedicato, ma anche quello illegittimo e immorale degli sprechi, delle inefficienze e del sistema clientelare locale.

Su questo argomento Confartigianato non ha dubbi: fra il 2000 e il 2010 le tariffe dei servizi pubblici locali sono cresciute in Italia del 54,2 per cento, il doppio dell’inflazione e ben 24 punti in più rispetto alla media europea: nel periodo dal 2003 al 2013 la sola tassa sui rifiuti è lievitata del 56,6 per cento, contro il 32,2 per cento dell’eurozona. Ciascuno di noi può giudicare se la qualità di questi servizi sia nel frattanto tanto migliorata da giustificare l’esborso in proporzione.
La farsa del federalismo quindi non è più accettabile, i Comuni vanno obbligati alla trasparenza assoluta dei costi sui servizi, affinché i cittadini possano regolarsi di conseguenza quando è ora di rinnovare con il voto le amministrazioni locali.
La norma che prevede la liquidazione delle società municipalizzate in dissesto già esiste, occorre solo applicarla, dribblando le deroghe che da anni alimentano questa vergogna. Solo così, possiamo restituire un significato alla parola “federalismo” e gravare meno sulle tasche dei cittadini.